Definizione e nozione generale (art. 1406 c.c.) e differenze da cessione del credito e accollo
La cessione del contratto è l’istituto, introdotto nel Codice civile del 1942, che consente a una parte di un contratto di trasferire a un terzo la propria posizione contrattuale (cioè l’insieme di tutti i diritti e obblighi nascenti da quel contratto) con il consenso dell’altra parte originaria. In altre parole, il cedente (parte originaria) sostituisce a sé un cessionario (terzo subentrante) nei rapporti derivanti da un contratto ancora in esecuzione, mentre il contraente ceduto (l’altra parte originaria) presta il suo consenso a tale sostituzione. Ne risulta una successione a titolo particolare in tutta la posizione contrattuale del cedente, comprendente situazioni attive e passive unitarie.
Questa figura va tenuta distinta da istituti affini ma più limitati, come la cessione del credito (che trasferisce solo un singolo diritto di credito dal creditore originario a un nuovo creditore) e l’accollo del debito (con cui un terzo assume un debito altrui verso il creditore). Prima del 1942, non essendo prevista la cessione del contratto, si otteneva un risultato analogo proprio combinando una cessione di credito con un accollo del debito corrispondente, oppure stipulando un nuovo contratto con il terzo. La cessione del contratto introdotta dal Codice del 1942 semplifica tali operazioni in un unico negozio, eliminando la necessità di “complicate e dispendiose rinnovazioni del contratto”. In dottrina essa è talvolta definita un “contratto di secondo grado”, in quanto incide su un rapporto contrattuale preesistente trasferendone la titolarità ad un nuovo soggetto.
Presupposto della bilateralità e funzione economica dell’istituto
Perché si possa parlare di cessione del contratto è necessario che il contratto ceduto sia a prestazioni corrispettive, cioè un contratto sinallagmatico in cui ciascuna parte abbia sia obblighi sia diritti nei confronti dell’altra. L’art. 1406 c.c. esplicitamente limita la cessione ai contratti con prestazioni corrispettive “se queste non sono state ancora eseguite”. Ciò significa che non sono di regola cedibili contratti unilaterali o già interamente eseguiti, poiché in tali casi non esiste una posizione contrattuale bilaterale da trasferire. Ad esempio, se in un contratto una parte ha già adempiuto integralmente la propria prestazione mentre all’altra resta solo da pagare un corrispettivo, non si avrà una cessione dell’intero contratto ma, al più, una cessione del credito relativo al corrispettivo residuo o un accollo del debito corrispondente. Analogamente, nei contratti unilaterali (in cui solo una parte è obbligata, come la donazione o il mandato gratuito) non vi è una posizione contrattuale complessa da trasferire: il trasferimento riguarderebbe esclusivamente un diritto o un obbligo singolo, ricadendo dunque nella cessione di un credito o nella delegazione/accollo di un debito, anziché in una cessione di contratto in senso proprio.
Va precisato tuttavia che la giurisprudenza e parte della dottrina ammettono l’applicazione degli artt. 1406 ss. c.c. anche in ipotesi parzialmente diverse da quella tipica. In particolare, contratti solo in parte eseguiti o anche contratti unilaterali possono essere ceduti se rimane ancora da trasferire una posizione giuridica complessa che non si esaurisce in un singolo credito o debito. Ad esempio, è generalmente ritenuta ammissibile la cessione di un contratto di durata già in corso (come un contratto di somministrazione o di locazione), limitatamente alla parte non ancora eseguita: in tali casi il cessionario subentra per il futuro, mentre gli effetti già prodotti tra i contraenti originari restano fermi. Ciò risponde alla funzione economica dell’istituto: permettere la circolazione dei rapporti contrattuali in corso quando mutano le esigenze delle parti, evitando di dover estinguere e ricostituire da zero il contratto. La Relazione al Codice civile sottolinea proprio che la cessione del contratto assolve a “una funzione economica importante”, qual è quella di eliminare la necessità di stipulare ex novo un altro contratto ogni volta che si vuole sostituire un contraente.
Struttura soggettiva: cedente, cessionario e contraente ceduto
Soggetti dell’operazione di cessione sono tre: il cedente (la parte originaria che esce dal contratto), il cessionario (il nuovo soggetto che subentra al cedente) e il contraente ceduto (la parte originaria che rimane nel contratto e deve acconsentire alla sostituzione). Dal punto di vista strutturale, la cessione del contratto può realizzarsi con un unico accordo trilaterale, sottoscritto da cedente, cessionario e contraente ceduto. In tal caso tutti e tre manifestano contestualmente il proprio consenso alla cessione, perfezionando immediatamente il trasferimento.
In alternativa, è possibile attuare la cessione mediante due fasi contrattuali: inizialmente il cedente e il cessionario stipulano un contratto di cessione tra di loro, con cui convengono il subentro del cessionario al posto del cedente; successivamente il contraente ceduto aderisce a tale accordo già concluso, prestando il consenso richiesto. In questo secondo schema, la cessione si perfeziona solo quando interviene l’assenso definitivo del contraente ceduto, che può limitarsi ad accettare l’accordo già raggiunto dagli altri due soggetti. In ogni caso, è essenziale la volontà di tutti e tre i soggetti coinvolti: per questo motivo la cessione del contratto viene definita un negozio trilaterale (o plurilaterale), richiedendo il concorso del cedente, del cessionario e dell’altro contraente.
Da un punto di vista causale, la cessione del contratto non è un tipo negoziale a sé stante con una causa propria, ma presuppone un contratto preesistente di cui realizza la sostituzione soggettiva di una parte. La causa concreta della cessione, dunque, coincide con lo scopo pratico di trasferire ad altri il rapporto contrattuale esistente, scopo che può essere oneroso (ad esempio, il cedente cede il contratto dietro pagamento di un corrispettivo da parte del cessionario) oppure anche a titolo gratuito.
Il consenso del contraente ceduto: forme, momento e valore giuridico
Il consenso dell’altro contraente (detto contraente ceduto) è la condizione imprescindibile perché la cessione abbia effetto. Tale consenso funge da elemento essenziale del negozio di cessione, perché tutela l’interesse della parte che rimane vincolata al contratto a non vedersi imposto un nuovo contraente non gradito. Si consideri, ad esempio, che la cessione comporta anche una successione nel debito: per il creditore (la parte ceduta) non è indifferente avere come debitore un soggetto piuttosto che un altro, soprattutto in termini di affidabilità e solvibilità. Dunque, la legge richiede la sua autorizzazione. In assenza di consenso, l’accordo tra cedente e cessionario non produce alcun effetto nei confronti del contraente ceduto.
Forma e momento di manifestazione del consenso possono variare. La regola generale è la libertà di forma, salvo che il contratto ceduto sia soggetto ad una forma legale vincolata: in tal caso anche il negozio di cessione (e il relativo consenso del ceduto) devono rispettare le stesse formalità. Ad esempio, se il contratto ceduto ha ad oggetto un diritto reale immobiliare ed è richiesto l’atto scritto (o l’atto pubblico) a pena di nullità, anche la cessione di tale contratto andrà effettuata per iscritto e, se del caso, per atto notarile. La Corte di Cassazione ha chiarito che devono “essere osservate le stesse forme prescritte per il contratto ceduto” tanto per l’atto di cessione tra cedente e cessionario quanto per il consenso del ceduto. Nella generalità dei casi (contratti per i quali non è richiesta una forma particolare, ad es. contratti di fornitura, appalto privato, vendita di beni mobili, ecc.), non è richiesta una forma solenne: il consenso può essere dato verbalmente, per iscritto oppure con un comportamento concludente.
La legge consente infatti che il contraente ceduto presti assenso anche preventivamente (art. 1407, comma 1 c.c.), ad esempio inserendo già nel contratto originario una clausola di gradimento alla futura cessione. In tal caso la sostituzione diventa efficace nel momento in cui la cessione viene notificata al contraente ceduto o da questi “accettata” per iscritto. Fino a tale notificazione, il contraente ceduto può legittimamente adempiere la propria prestazione in favore del cedente originario, liberandosi: infatti, pur avendo già dato un consenso anticipato alla cessione, egli potrebbe non essere a conoscenza che la cessione tra cedente e cessionario è effettivamente avvenuta. Per rendere operativa la sostituzione, dunque, è necessaria la comunicazione dell’intervenuta cessione (salvo che il ceduto non l’abbia direttamente accettata con atto successivo).
In assenza di un’assenso preventivo, invece, il consenso del contraente ceduto deve intervenire contestualmente o successivamente all’accordo di cessione. Può essere prestato nella stessa scrittura sottoscritta dagli altri due soggetti (cedente e cessionario) oppure con atto separato di adesione. È importante che, se posteriore, tale adesione avvenga quando l’accordo tra cedente e cessionario è ancora efficace e non revocato. Una volta manifestato, il consenso del ceduto completa il negozio di cessione e rende definitiva la sostituzione del cessionario al posto del cedente.
La giurisprudenza ha riconosciuto che questo consenso può risultare anche tacitamente da comportamenti concludenti, purché inequivoci. Ad esempio, in materia di lavoro, si è ritenuto valido il consenso tacito del lavoratore alla cessione del suo contratto quando questi abbia continuato a prestare la propria opera, per un tempo apprezzabile, alle dipendenze del nuovo datore senza opporsi. In generale, qualunque comportamento della parte ceduta che dimostri in modo chiaro la volontà di proseguire il rapporto con il cessionario (nuovo contraente) può valere come accettazione tacita della cessione.
Da notare, infine, che l’art. 1407, comma 2 c.c. prevede un caso particolare di consenso implicito “incorporato” in un documento: se tutti gli elementi del contratto risultano da un documento nominativo o all’ordine e su di esso è apposta una clausola di girata “all’ordine” (o equivalente), allora la girata del documento produce gli effetti del consenso alla cessione. In tale ipotesi, tipica dei contratti rappresentati da titoli trasferibili (ad esempio alcuni contratti di credito o di finanziamento all’ordine), la semplice girata del documento vale a trasferire il contratto al giratario, senza bisogno di una formale accettazione ulteriore: la girata funge da notifica e da consenso contestualmente. Si tratta comunque di ipotesi residuali nella prassi, applicabili solo quando la legge o le parti abbiano previsto la trasferibilità del contratto mediante titolo all’ordine.
Effetti principali della cessione: subentro del cessionario, liberazione (o meno) del cedente, garanzie e accessori
Con la cessione perfezionata, il cessionario subentra in tutti i rapporti contrattuali del cedente, ponendosi esattamente nella medesima posizione giuridica che quest’ultimo aveva verso la parte ceduta. Si realizza dunque una continuità del rapporto contrattuale: il contratto prosegue invariato nei suoi elementi essenziali ed effetti, ma con una diversa parte. La Corte di Cassazione ha ribadito che la cessione del contratto comporta il trasferimento soggettivo del complesso unitario dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, lasciando immutati gli elementi essenziali e realizzando soltanto una sostituzione del soggetto. Tutte le situazioni giuridiche attive e passive inerenti al contratto ceduto – anche quelle non ancora manifeste o oggetto di contestazione – vengono trasferite al cessionario senza necessità di specifica individuazione. Ad esempio, se sul contratto ceduto gravavano clausole penali, diritti di prelazione, condizioni o termini, tali pattuizioni restano ferme e opponibili anche al cessionario; se dal contratto derivavano facoltà o aspettative (come la facoltà di recesso, un diritto di opzione, un’azione giudiziale pendente, etc.), esse si trasferiscono in capo al cessionario insieme al resto del rapporto.
Riguardo alle obbligazioni del cedente, l’effetto normale della cessione (salvo patto contrario) è la sua totale liberazione nei confronti del contraente ceduto. Dal momento in cui la sostituzione diviene efficace verso il contraente ceduto, il cedente esce dal contratto e non è più tenuto a eseguire le prestazioni da lui dovute in futuro. Non occorre, di regola, che la parte ceduta dichiari espressamente di liberare il cedente, poiché si intende che prestare il consenso alla cessione implica già accettare il nuovo contraente al posto del precedente. Questa è la situazione tipica definita in dottrina cessione pro soluto, analogamente alla cessione del credito senza garanzia di solvenza: il cedente, una volta ceduto il contratto, non risponde dell’adempimento del cessionario.
Tuttavia, la legge contempla anche la possibilità di una cessione senza liberazione del cedente: l’art. 1408, comma 2 c.c. stabilisce che “il contraente ceduto, se ha dichiarato di non liberare il cedente, può agire contro di lui qualora il cessionario non adempia”. Dunque, al momento del consenso alla cessione, il contraente ceduto può riservarsi espressamente di mantenere obbligato anche il cedente in via sussidiaria. In tal caso (detto di cessione pro solvendo), il cedente rimane obbligato in garanzia: sarà tenuto ad eseguire le prestazioni dovute qualora il cessionario non vi adempia, similmente a un fideiussore. Questa responsabilità del cedente è però sussidiaria e limitata: egli risponde solo per l’ipotesi di inadempimento del cessionario, e la parte ceduta deve dargliene pronta notizia (entro 15 giorni dall’inadempimento) per conservarne la responsabilità. In mancanza di tale tempestiva comunicazione, il cedente (pur restando obbligato in via di regresso verso il ceduto) può chiedere il risarcimento del maggior danno derivante dal ritardo della notizia. Nell’ipotesi di cessione pro solvendo, dunque, la posizione del cedente assomiglia a quella di un fideiussore: egli garantisce in via accessoria le obbligazioni trasferite al cessionario, e la sua obbligazione si estingue se e quando il cessionario le adempie regolarmente. Va da sé che, anche in questo caso, il contraente ceduto non potrà ottenere una doppia prestazione: l’adempimento da parte del cessionario libera definitivamente il cedente.
Per quanto riguarda le garanzie e gli accessori del contratto ceduto, il principio generale è il mantenimento della loro efficacia nel passaggio dal cedente al cessionario, salvo patto contrario. Il cessionario, subentrando nella stessa posizione contrattuale, ne assume oneri e vantaggi. Così, ad esempio, eventuali diritti di garanzia reale o personale che garantivano un credito derivante dal contratto (pegni, ipoteche, fideiussioni di terzi a favore del cedente) seguono il credito ceduto e potranno essere fatti valere dal cessionario, conformemente a quanto avviene nella cessione di crediti. Al contrario, se il cedente aveva prestato egli stesso garanzie personali a favore del contraente ceduto (come una cauzione, un pegno su un proprio bene, o altre garanzie di adempimento), tali garanzie si estinguono con la liberazione del cedente, salvo diverso accordo. È comunque possibile che, al momento della cessione, il contraente ceduto richieda al cessionario nuove garanzie a tutela delle obbligazioni assunte da quest’ultimo, soprattutto se la solvibilità del cessionario è inferiore a quella del cedente originario.
Un importante effetto della cessione è la continuità delle eccezioni contrattuali. Ai sensi dell’art. 1409 c.c., il contraente ceduto può opporre al cessionario tutte le eccezioni che gli spettavano verso il cedente in base al contratto originario (compresi vizi, inadempimenti, nullità, annullabilità, simulazione, ecc.), ad eccezione delle eccezioni fondate su rapporti extra-contrattuali con il cedente. In altri termini, il cessionario non può ottenere una posizione migliore di quella che aveva il cedente: ad esempio, se il cedente non aveva ancora pagato un prezzo o aveva commesso un inadempimento, il contraente ceduto potrà eccepire tali circostanze anche nei confronti del cessionario subentrato. Fanno eccezione solo le eccezioni estranee al contratto ceduto – ad esempio una compensazione tra il cedente e il ceduto relativa a un diverso rapporto – a meno che il ceduto non ne abbia espressamente riservato la possibilità al momento del consenso.
Dal lato del rapporto tra cedente e cessionario, infine, la legge pone a carico del cedente alcune garanzie analoghe a quelle previste nella cessione dei crediti. In base all’art. 1410 c.c., il cedente deve garantire al cessionario che il contratto ceduto è valido ed efficace (garanzia detta del “nomen verum”). Ciò significa che, se il contratto dovesse risultare nullo, annullato, risolto o comunque inefficace per cause preesistenti alla cessione, il cessionario potrà rivalersi sul cedente (di regola chiedendo la restituzione dell’eventuale corrispettivo pagato per la cessione e il risarcimento se previsto). Invece il cedente non garantisce per default la solvibilità o l’adempimento del contraente ceduto (garanzia di “nomen bonum”), a meno che tale garanzia non sia espressamente pattuita tra cedente e cessionario. Solo se il cedente si è assunto contrattualmente questa obbligazione ulteriore, egli risponde verso il cessionario del mancato adempimento del contratto da parte del contraente ceduto, con i limiti e le modalità della fideiussione (art. 1410, comma 2 c.c.). In tal caso, il cedente e il contraente ceduto diventano obbligati in solido verso il cessionario per le prestazioni dovute da quest’ultimo (in base all’art. 1944 c.c., ma con esclusione della responsabilità per danni, salvo patto contrario). Questa garanzia aggiuntiva, tuttavia, non opera se non è stata convenuta: la regola rimane che il cedente garantisce solo la validità del contratto ceduto, e non la futura esecuzione della controparte originaria.
Formalità, pubblicità e opponibilità ai terzi
Come accennato, la forma della cessione del contratto segue il principio della libertà di forma, salvo eccezioni. Non esiste nel codice una forma tipica richiesta per la validità della cessione in generale. Tuttavia, si applica il principio di simmetria delle forme: se il contratto ceduto richiedeva una certa forma ad substantiam (forma vincolata), anche la cessione e il relativo consenso devono rivestire quella forma. Ad esempio, la cessione di un contratto preliminare di vendita immobiliare dovrà avvenire con atto scritto (meglio se con le stesse formalità notarili con cui il preliminare fu stipulato), poiché il preliminare, pur non traslativo, è soggetto a forma scritta. Ancora, la cessione di un contratto di locazione ultranovennale (che deve essere trascritto) richiederà anch’essa la forma scritta e andrà trascritta per essere opponibile ai terzi, in analogia a quanto previsto per la cessione dei diritti reali immobiliari. In generale, per prudenza, quando il contratto ceduto sia stato stipulato per iscritto, è opportuno che anche la cessione risulti da atto scritto, così da poter essere agevolmente provata e, se del caso, soggetta a registrazione o pubblicità.
Obblighi di pubblicità della cessione del contratto possono sorgere in relazione alla natura del contratto ceduto. Di per sé, la cessione tra le parti è efficace dal momento in cui il contraente ceduto presta il consenso; per renderla opponibile ai terzi estranei al rapporto non è richiesta alcuna forma di pubblicità specifica, salvo quanto previsto in casi particolari. Ad esempio, se il contratto ceduto è un contratto soggetto a registrazione o annotazione in pubblici registri (come i contratti immobiliari, i contratti di trasferimento d’azienda, i contratti di proprietà industriale, ecc.), anche l’atto di cessione andrà registrato o annotato secondo le norme proprie di quel tipo di contratto, per darne pubblicità ai terzi. Un caso tipico è la trascrizione della cessione di un contratto preliminare di vendita immobiliare: il preliminare può essere trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis c.c. per tutelare il promissario acquirente verso aventi causa del promittente; ebbene, se quel preliminare viene ceduto a un terzo, sarà necessaria la trascrizione anche dell’atto di cessione affinché il terzo cessionario subentri nella posizione di opponibilità già acquisita dal cedente. Analogamente, la cessione di contratti inerenti ad un’azienda ceduta verrà pubblicizzata attraverso l’iscrizione dell’atto di trasferimento dell’azienda (che, ai sensi dell’art. 2558 c.c., comporta il subentro nei contratti aziendali).
Quanto all’opponibilità ai terzi della cessione, va ribadito che, una volta perfezionata con il consenso del contraente ceduto, la sostituzione del cessionario produce effetto tra le parti e i loro aventi causa. Un terzo estraneo che vanti pretese sul contratto ceduto (es. un creditore del cedente che abbia pignorato quel contratto, o un secondo cessionario in mala fede) potrà eventualmente esperire i rimedi ordinari (come l’azione revocatoria, se ne sussistono i presupposti, per contestare una cessione pregiudizievole ai suoi diritti). In linea generale, però, non esistono diritti di prelazione o opposizione spettanti ai terzi rispetto alla cessione: è un accordo tra le parti contrattuali, che può essere liberamente concluso se tutti i soggetti richiesti vi consentono. Unica eccezione è data dalla cessione del contratto in ambito di procedura concorsuale o di amministrazione straordinaria, dove intervengono normative speciali sulla cessione di rapporti pendenti nell’interesse dei creditori. Nei rapporti civili ordinari, invece, eventuali conflitti tra più cessioni dello stesso contratto sono risolti in base alla priorità del consenso del contraente ceduto: una volta che questi abbia aderito alla cessione in favore di un certo cessionario, non sarà più possibile per il cedente disporre del medesimo contratto a favore di altri.
In pratica, inoltre, può accadere che il contratto ceduto contenga una clausola di divieto di cessione senza consenso oppure di limitazione alla cedibilità. Tali clausole hanno lo scopo di rendere edotta la controparte che la posizione contrattuale non potrà circolare liberamente. Dal punto di vista legale, esse confermano semplicemente la regola generale per cui il contratto non è cedibile senza il consenso della controparte; tuttavia, possono prevedere specifiche sanzioni contrattuali (ad esempio la risoluzione automatica del contratto o una penale) nel caso in cui il cedente tenti ugualmente di cedere il contratto in violazione del divieto. In presenza di un patto di incedibilità convenzionale, dunque, il cedente che ceda ugualmente il contratto senza autorizzazione si espone alle conseguenze pattuite (fermo restando che, senza il consenso del ceduto, la cessione non avrà comunque effetto). Va detto che il contraente ceduto può sempre rinunciare al beneficio di un patto di incedibilità e accettare ugualmente la cessione: prestando il suo consenso, infatti, ratifica la sostituzione e così facendo implicitamente deroga al patto che egli stesso aveva convenuto (liberando il cedente dalle conseguenze della violazione).
Profili critici e limiti: contratti intuitu personae, divieti legali o convenzionali di cessione, casi giurisprudenziali
Non tutti i contratti possono formare oggetto di cessione: importanti limiti derivano dalla natura del contratto o da espresse previsioni di legge. In particolare, sono incedibili (o fortemente limitati nella cessione) i contratti intuitu personae, ossia quei rapporti in cui la figura o le qualità personali di una parte sono state determinanti per l’altro contraente. In tali contratti – ad esempio un mandato professionale fiduciario, un contratto artistico legato alle capacità personali di un individuo, una società di persone basata sulla fiducia tra soci, oppure un rapporto di lavoro di particolare fiducia – la sostituzione del contraente con un soggetto estraneo snaturerebbe il contenuto stesso del contratto. Di conseguenza, si ritiene che i contratti con carattere personale non possano essere ceduti senza il consenso (spesso negato) dell’altra parte, e anzi spesso la legge o il contratto stesso ne sanciscono l’intrasferibilità. Ad esempio, il contratto di mandato si estingue per la morte o l’incapacità del mandatario proprio per il suo carattere intuitu personae (art. 1722 c.c.), il che esclude una cessione a terzi; ancora, nei contratti di appalto di lavori pubblici la cessione del contratto è vietata senza autorizzazione dell’amministrazione, proprio per garantire che l’esecuzione sia curata dal contraente originariamente selezionato. La Cassazione ha affermato che una clausola di divieto di cessione in un contratto può essere indice del carattere personale del rapporto, e in tal caso la cessione è preclusa (salvo diverso accordo specifico). D’altro canto, la legge stessa in alcuni casi impedisce il mutamento del contraente: si pensi ai contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, in cui la sostituzione del conduttore è vietata salvo consenso del locatore; oppure ai contratti pubblici e concessioni, in cui l’eventuale subentro di terzi è rigorosamente regolato o interdetto per evitare elusioni delle gare pubbliche.
Ulteriori limiti legali alla cessione derivano da norme speciali. Ad esempio, nell’ambito della cessione di azienda, l’art. 2558 c.c. prevede una successione automatica nei contratti aziendali salvo che abbiano carattere personale o che sia pattuito diversamente. Ciò implica che, se un contratto è strettamente personale, neppure il trasferimento d’azienda può forzarne il subentro dell’acquirente: in tal caso il contratto resterà in capo al cedente o si estinguerà. In materia di lavoro, il trasferimento di un’azienda (o di un ramo autonomo di essa) comporta per legge il passaggio dei relativi rapporti di lavoro al cessionario (art. 2112 c.c.), anche senza il consenso individuale dei lavoratori, ma con particolari tutele; fuori da questo caso, una cessione del singolo contratto di lavoro richiede il consenso del lavoratore ceduto e non deve ledere i suoi diritti (ad esempio non può comportare peggioramenti delle condizioni contrattuali già maturate). In generale, quando la legge disciplina espressamente il subentro nei contratti in certi contesti (es. trasferimenti d’azienda, fusioni societarie, successioni a causa di morte, ecc.), la cessione contrattuale avverrà secondo quelle norme speciali, che possono derogare alla disciplina ordinaria degli art. 1406 ss. c.c.
La giurisprudenza negli anni ha delineato alcuni principi chiave sui profili critici dell’istituto. Ha confermato, ad esempio, che un contratto già eseguito nelle sue prestazioni essenziali non è cedibile, in quanto mancherebbe un contenuto da trasferire (in tali casi sopravvive solo un credito o un debito, da trattare con gli strumenti appropriati). Parimenti, è stato ribadito che nei contratti ad efficacia reale immediata (come la vendita di cosa presente, in cui la proprietà si trasferisce subito) non avrebbe senso parlare di cessione successiva del contratto, poiché l’effetto principale è già consumato al momento della conclusione. Viceversa, la Cassazione ha ammesso la cessione di contratti unilaterali o parzialmente eseguiti, riconoscendo che anche in essi può residuare una posizione complessa da trasferire – ad esempio, diritti accessori o potestativi collegati al contratto – che giustifica l’applicazione dell’istituto.
Un tema dibattuto ha riguardato la tacita accettazione della cessione da parte del contraente ceduto. Su questo punto, un importante arresto è l’ordinanza Cass. 21 settembre 2022 n. 27681, la quale ha statuito che il consenso del lavoratore alla cessione del proprio contratto di lavoro può essere anche tacito, purché risulti da fatti concludenti che manifestino in modo univoco la volontà di accettare il nuovo datore. Nel caso concreto, il lavoratore aveva continuato a lavorare per oltre un anno alle dipendenze della società subentrata, e ciò è stato ritenuto prova sufficiente del consenso tacito alla cessione. Questa pronuncia conferma un orientamento più elastico, secondo cui l’essenziale è che il contraente ceduto esprima (anche implicitamente) la propria volontà adesiva, non essendo richiesto un particolare formalismo (salvo le eccezioni di forma già viste).
In materia di clausole contrattuali, va citata Cass. 5 dicembre 2018 n. 31466, che in un complesso caso di subentro nei contratti d’appalto a seguito di affitto d’azienda ha ritenuto che un generico divieto di cessione previsto nel contratto non impedisse la successione ex lege nei contratti aziendali, a meno che il contratto non fosse di natura personale. La Suprema Corte ha in sostanza distinto tra clausole di incedibilità convenzionali (che possono essere derogate col consenso delle parti interessate, specie quando interviene una disciplina legale di continuità dei contratti) e i casi di effettiva personalità del rapporto (nei quali invece la cessione è radicalmente incompatibile).
Da ultimo, merita menzione una sentenza riguardante l’ambito professionale: Cass. 9 febbraio 2010 n. 2860, che ha ritenuto valida la cessione di uno studio professionale organizzato come complesso di beni e contratti. In tale pronuncia la Corte ha affermato che, sebbene il rapporto personale cliente-professionista sia fiduciario (intuitus personae), è ammissibile un accordo di cessione del contratto d’opera professionale ad un altro professionista, purché il cliente (contraente ceduto) vi consenta espressamente e non vengano lese norme deontologiche o d’ordine pubblico. Questa decisione, sebbene riferita a circostanze particolari, evidenzia come anche nei settori fiduciari la cessione contrattuale non sia ipso iure nulla, ma debba essere valutata caso per caso, considerando il reale contenuto del contratto e l’effettiva volontà di tutti i soggetti coinvolti.
Differenze e collegamenti con figure affini: cessione del credito, delegazione, accollo
La cessione del contratto, pur essendo un istituto autonomo, è strettamente connessa alle figure affini della cessione di credito e della modificazione soggettiva passiva dell’obbligazione (delegazione di pagamento, espromissione, accollo). Vale la pena riassumerne le differenze principali:
- Cessione di credito: consiste nel trasferimento di un diritto di credito da un soggetto (cedente) ad un altro (cessionario), senza alterare il rapporto obbligatorio sottostante. È disciplinata dagli artt. 1260 e segg. c.c. e non richiede il consenso del debitore ceduto (basta che il credito non abbia carattere strettamente personale e che non vi sia divieto di legge o patto contrario). Nella cessione del contratto, al contrario, si trasferisce non un singolo diritto, ma l’intera posizione contrattuale comprensiva anche dei debiti, e pertanto è sempre necessario il consenso dell’altra parte (che di fatto vede cambiare il proprio debitore). In mancanza di tale consenso, come visto, la cessione del contratto non produce effetti, diversamente dalla cessione del credito che è efficace ex lege con la sola notificazione al debitore. Inoltre, la cessione di credito trasferisce soltanto gli accessori del credito (garanzie, privilegi, interessi) ma non incide sulle obbligazioni del cedente; la cessione del contratto invece trasferisce contestualmente crediti e debiti nascenti dal contratto, realizzando quella contestuale combinazione di effetti che, in assenza dell’istituto, si sarebbe ottenuta con una cessione di credito più un accollo di debito.
- Delegazione di debito: è uno schema in cui il debitore originario (delegante) incarica un terzo (delegato) di eseguire la prestazione dovuta al creditore (delegatario). Può assumere forme diverse: delegazione cumulativa (il terzo si aggiunge al debitore originario, obbligandosi anch’egli verso il creditore) oppure delegazione liberatoria (il terzo sostituisce il debitore originario, il quale viene liberato dal creditore delegatario). La delegazione richiede l’accordo di almeno due parti (delegante e delegato per l’impegno, più l’accettazione del creditore se si vuole liberare l’originario) e riguarda tipicamente singole obbligazioni di pagamento. Diversamente, nella cessione di contratto il meccanismo non è quello dell’iniziativa unilaterale del debitore, bensì di un accordo trilaterale che trasferisce tutti i rapporti attivi e passivi di un contratto in corso. Possiamo dire che, mentre la delegazione (così come l’espromissione, cioè l’assunzione spontanea del debito altrui da parte di un terzo) opera sul lato passivo di uno specifico obbligo, la cessione del contratto opera sull’intero rapporto contrattuale, includendo l’insieme di obblighi e diritti. Un ulteriore distinguo: nella delegazione liberatoria, il creditore deve espressamente accettare di liberare il primo debitore; nella cessione del contratto la liberazione del cedente è implicita nel consenso salvo riserva contraria, come visto.
- Accollo del debito: è il contratto con cui un terzo (accollante) si accorda con il debitore originario (accollato) per assumere a proprio carico il debito di quest’ultimo verso un creditore. L’accollo può rimanere interno (se il creditore non partecipa all’accordo, il terzo assume solo un obbligo verso il debitore originario di pagare al creditore) oppure diventare esterno se il creditore aderisce all’accordo rendendo l’accollante obbligato direttamente verso di lui. In caso di adesione, l’accollante e l’accollato possono convenire la liberazione di quest’ultimo, altrimenti il debitore originario rimane obbligato in solido col nuovo debitore (similmente alla cessione pro solvendo). Si noti la similitudine con la struttura della cessione del contratto: anche qui abbiamo un accordo tra cedente e cessionario relativo al subentro nel debito e il consenso del creditore ceduto che può liberare o meno il debitore originario. La differenza è che l’accollo riguarda un singolo rapporto obbligatorio (debito), mentre la cessione di contratto accolla al cessionario tutti i debiti derivanti dal contratto insieme ai corrispondenti crediti. In effetti, la cessione del contratto può essere vista come un accollo + cessione di credito unificati in un solo negozio. La dottrina in passato dibatté se la cessione fosse davvero un negozio unitario o la somma di due atti (cessione di credito e accollo) collegati: oggi prevale la tesi dell’unitarietà della cessione, confermata dal dato normativo che parla di “sostituzione” di un contraente (art. 1406 c.c.) e non di duplicazione di contratti.
In sintesi, rispetto alle figure affini, la cessione del contratto si caratterizza per la sua ampiezza oggettiva (trasferisce un’intera posizione contrattuale, non solo singoli crediti o debiti) e per la necessità del triplice consenso (cedente-cessionario-ceduto), a fronte del duplice accordo richiesto nelle cessioni di credito (cedente-cessionario, più semplice notificazione al debitore) o negli accolli interni (accollante-accollato). Essa rappresenta quindi uno strumento più completo e flessibile per la circolazione dei rapporti contrattuali, evitando di frammentare il trasferimento in molteplici atti separati.
Conclusione: utilità pratica della cessione del contratto nei rapporti commerciali e professionali
In conclusione, la cessione del contratto si rivela un istituto di grande utilità pratica nel diritto dei contratti, specialmente in ambito commerciale e professionale. La possibilità di trasferire contratti in corso da un soggetto a un altro, con il consenso della controparte, permette di dare continuità ai rapporti negoziali nonostante cambiamenti soggettivi. Nella dinamica dell’impresa, ad esempio, la cessione di contratti è uno strumento essenziale: si pensi al caso di un’azienda che cede un proprio contratto di fornitura a una società collegata, per riorganizzare le attività del gruppo, oppure al caso di un professionista che trasferisce il portafoglio di contratti con i clienti al collega subentrante nel suo studio. In situazioni del genere, la cessione del contratto consente di evitare interruzioni: il rapporto contrattuale prosegue con il nuovo soggetto, senza dover risolvere anticipatamente il contratto originario e negoziarne uno nuovo da zero con la controparte. Ciò comporta benefici di efficienza, continuità e risparmio di costi.
Dal punto di vista operativo, la cessione del contratto impone naturalmente una valutazione accurata degli interessi in gioco. La parte che intende cedere il contratto (cedente) dovrà generalmente ottenere il consenso della controparte, spesso negoziandone le condizioni: in alcuni casi il contraente ceduto potrebbe chiedere garanzie aggiuntive o un adeguamento delle condizioni economiche per accettare il nuovo cessionario. Ad esempio, un locatore potrebbe consentire la cessione del contratto di locazione commerciale a un nuovo inquilino solo a fronte di un deposito cauzionale maggiore, se ritiene il nuovo locatario meno solido del precedente. Oppure, nei contratti di appalto, la stazione appaltante potrebbe subordinare il proprio assenso alla verifica dei requisiti tecnici e finanziari del cessionario. Chiarezza contrattuale e buona fede nelle trattative sono fondamentali per gestire la cessione senza contenziosi: è opportuno formalizzare per iscritto l’accordo di cessione, indicando con precisione la data di subentro, l’eventuale liberazione o meno del cedente, e ogni altro dettaglio (come la regolazione dei corrispettivi già pagati o delle prestazioni già eseguite).
Nei rapporti professionali e nei contratti a forte connotazione personale, la cessione del contratto va maneggiata con particolare cautela. Anche quando non sia giuridicamente esclusa, bisogna considerare se il contraente ceduto accetterà realmente di buon grado il nuovo soggetto. In ambito di consulenza, ad esempio, un cliente potrebbe essere rassicurato dal fatto che il professionista subentrante abbia qualifiche ed esperienza analoghe a quelle del cedente, e che siano rispettati gli standard di qualità pattuiti originariamente. Frequentemente, nei contratti di servizi, si inseriscono clausole che consentono la cessione solo a determinate condizioni (ad es. a società appartenenti al medesimo gruppo, oppure previa approvazione scritta del committente). Tali accorgimenti servono a prevenire dissensi e a rendere la transizione più fluida quando la cessione avverrà.
In definitiva, la cessione del contratto rappresenta uno strumento giuridico di notevole rilevanza pratica, che riflette le esigenze di flessibilità dei traffici giuridici moderni. Permette ai contratti di “seguire” le vicende dei soggetti (trasferimenti d’azienda, riorganizzazioni societarie, avvicendamenti professionali) senza dover interrompere i rapporti in essere. Ciò favorisce la stabilità delle relazioni contrattuali e, al contempo, consente ai contraenti di adattarsi ai mutamenti (economici, organizzativi, personali) in modo più agevole. Per gli operatori del diritto e gli studenti di giurisprudenza, comprendere a fondo la disciplina della cessione del contratto significa disporre di uno strumento in più per gestire la continuità dei rapporti contrattuali, bilanciando la libertà di circolazione dei contratti con la tutela delle parti coinvolte.
Bibliografia
Fonti dottrinali:
• Torrente, A. – Schlesinger, P., Manuale di diritto privato, Giuffrè, Milano, ult. edizione.
• Roppo, V., Il contratto, Giuffrè, Milano, 2001.
• Gazzoni, F., Manuale di diritto privato, ESI, Napoli, 2018.
• Perlingieri, P., Manuale di diritto civile, ESI, Napoli, 2014.
Fonti giurisprudenziali:
• Cass., Sez. Lav., 5 novembre 2003, n. 16635: principio generale sulla cessione del contratto come trasferimento dell’intera posizione contrattuale attiva e passiva del cedente.
• Cass., Sez. II, 16 marzo 2007, n. 6157: sulla forma del consenso preventivo del contraente ceduto (art. 1407 c.c.) e suoi effetti.
• Cass., Sez. II, 20 febbraio 2014, n. 4067: applicazione dell’art. 1408 c.c. in tema di mancata liberazione del cedente (fattispecie: cessione di locazione senza liberazione dell’originario locatario).
• Cass., Sez. II, 9 febbraio 2010, n. 2860: ammissibilità della cessione del contratto d’opera professionale (cessione di studio professionale), con consenso del cliente.
• Cass., Sez. I, 5 dicembre 2018, n. 31466: divieto di cessione nel contratto d’appalto e successione nei contratti in caso di affitto d’azienda (nozione di contratto personale).
• Cass., Sez. Lav., ord. 21 settembre 2022, n. 27681: validità del consenso tacito del lavoratore alla cessione del contratto di lavoro e necessità di forme equivalenti al contratto ceduto.
• Cass., Sez. Lav., ord. 5 novembre 2024, n. 28406: conferma dell’effetto generale della cessione su tutte le situazioni giuridiche del rapporto ceduto, ivi incluse azioni o controversie pendenti (nel caso, cessione di contratto di lavoro con licenziamento sub iudice).
Cessione del contratto
Definizione, disciplina ed effetti principali
Paolo
13 Ottobre 2025
Aggiornato il 16 Ottobre 2025